La legge “Cartabia” tra pene sostitutive e sorveglianza

Le ragioni della riforma:

Il sistema penale riacquisterà credibilità se le pene applicate all’esito del processo verranno eseguite in tempi ragionevolmente prossimi alla commissione del reato. Non basta che la durata del processo venga ridotta, come chiede l’Europa; è assolutamente necessario che le sanzioni non siano più eseguite a distanza di anni. In caso contrario, il processo penale, pur se velocizzato, verrà ugualmente meno alla sua funzione essenziale: quella di far sì che, accertata con le dovute garanzie la responsabilità penale, la sanzione intervenga per tempo, onde prevenire la reiterazione di reati e restituire al contesto sociale autori di reato “risocializzati”; e ciò in concreta e diretta attuazione dei principi previsti dall’art. 27 della Costituzione. 

I procedimenti relativi ai “liberi sospesi” pendenti innanzi ai tribunali di sorveglianza sono oramai oltre 60.000. Si tratta di un dato che non può non allarmare gli operatori del diritto. Per giunta, non va trascurato che ciascun procedimento in attesa di definizione non comporta soltanto l’incognita di come la determinanda pena detentiva verrà espiata; il procedimento rappresenta un “sospeso” in grado di condizionare la vita della persona sottoposta a giudizio. La pena in attesa di espiazione comporta, ad esempio, l’impossibilità di recarsi all’estero e spesso le pene accessorie ostacolano i percorsi professionali.

Decongestionare il carcere:

I tribunali di sorveglianza faticano a gestire le istanze e i reclami dei detenuti, sempre in aumento. Alle domande di misure alternative alla detenzione si affiancano le procedure a tutela dei diritti che i detenuti, spesso a ragione, assumono che sono stati violati. Le condizioni fatiscenti delle carceri e i drammatici disservizi del sistema sanitario impongono interventi sistematici dei magistrati di sorveglianza, già oberati dalle ordinarie numerosissime istanze dell’“universo detentivo” e impossibilitati a esaminare in tempi accettabili le domande aventi ad oggetto le misure alternative dei condannati a pene sospese ex art. 656. La conseguenza è che le decisioni sulle istanze dei “liberi sospesi” intervengono a distanza di svariati anni dalla commissione dei fatti reato, in una logica del tutto disfunzionale per le persone, per i contesti familiari e relazionali (che spesso avrebbero bisogno di interventi tempestivi verso gli autori di reato) e per la collettività.

A questo fenomeno va aggiunto quello del cronico sovraffollamento carcerario: al 31 dicembre 2021 erano presenti 11262 detenuti con pene inferiori ai 4 anni, di cui 1173 con pena applicata sino ad 1 anno, 2244 con pena compresa tra 1 e 2 anni, 3754 tra 2 e 3 anni e 4100 tra 3 e 4 anni. Come è evidente, si tratta di pene difficilmente riconducibili, vista l’entità, a reati ostativi (rispetto ai quali non è prevista, ex art. 59 l. n. 689/81, la possibilità di sostituire la pena detentiva) e, dunque, ragionevolmente inquadrabili in futuro tra le «pene sostitutive delle pene detentive brevi» previste dal nuovo art. 20-bis cp.

Le pene sostitutive, riducendo le presenze in carcere, potranno decongestionare le strutture carcerarie, incideranno conseguentemente sulla riduzione del carico di lavoro dei tribunali di sorveglianza e anticiperanno rispetto ad oggi l’esecuzione di specifiche pene che si caratterizzano per una notevole duttilità.  

Un nuovo equilibrio nel programma sanzionatorio:

La «Relazione» accompagnatoria delle sanzioni sostitutive le definisce «pene-programma». Basta leggere, in particolare, in maniera approfondita e priva di pregiudizi, gli artt. 56 e 56-bis, 58 e 59 della legge n. 689/81 per apprezzare le potenzialità di un sistema nuovo, in grado di concepire l’applicazione di misure penali “costruite” intorno alle necessità dei destinatari delle stesse, con apprezzabili spazi di libertà a tutela delle esigenze di lavoro, di cura, di famiglia, di studio. A tale proposito, va ricordato che l’art. 58 l. n. 689/81 sancisce che il giudice è tenuto a individuare la sanzione «più idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato con il minor sacrificio della libertà personale indicando i motivi che giustificano l’applicazione della pena sostitutiva e la scelta del tipo».

Il nuovo impianto delle pene sostitutive non si discosta di molto dalle misure alternative previste e regolate dall’ordinamento penitenziario. Contempla, però, alcune innovazioni di rilievo.

La detenzione domiciliare sostitutiva, disciplinata all’art. 56 l. n. 689/81, prevede la possibilità per la persona condannata di trascorrere fuori casa sino a 12 ore al giorno per comprovate ragioni di necessità. Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo (art. 56-bis) impone 2 ore di lavoro quotidiano (e “copre” pene sino a 3 anni) ed esonera da alcuni oneri previsti all’affidato ex art. 47 o.p. – primo fra tutti, quello di trascorrere la notte a casa. La detenzione domiciliare sostitutiva (art. 56) e la semilibertà sostitutiva (art. 55), una volta espiata la metà della sanzione sostitutiva, potranno essere declinate in affidamento in prova al servizio sociale previsto dell’art. 47 o.p. a seguito di istanza presentata al tribunale di sorveglianza ai sensi dell’art. 678, comma 1-ter. Tale passaggio è disciplinato all’art. 47-ter, comma 3-ter o.p.

Si tratta di una procedura semplificata, che rende agile e rapida la suddetta trasformazione delle pene sostitutive in affidamento in prova nei riguardi del condannato il quale, giunto a metà dell’esecuzione, «abbia serbato un comportamento tale per cui l’affidamento in prova appaia più idoneo alla rieducazione del condannato e assicuri comunque la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati».

I giudici e la funzione rieducativa:

Il nuovo sistema sanzionatorio, arricchito di soluzioni diverse rispetto alla sola risposta “carcerocentrica”, pone i giudici, gli avvocati e l’Ufficio per l’esecuzione penale esterna di fronte a nuovi e interessanti compiti e, al tempo stesso, chiama tutti i suddetti operatori a un impegno differente.

Le novità normative non disegnano una sorta di “anticipazione” alla fase della cognizione dell’individuazione delle misure alternative alla detenzione, di competenza della magistratura di sorveglianza. A ben riflettere, non si tratta di un trasferimento di competenze, ma di un’effettiva riappropriazione da parte del giudice di cognizione di un compito imprescindibile, qual è quello di declinare la pena in funzione rieducativa; funzione che deve caratterizzare la sanzione sin dal momento della sua applicazione e non solo nella fase dell’esecuzione. Il giudice del merito infatti, sin dal momento genetico della determinazione della pena, è chiamato a svolgere una funzione centrale in ordine al trattamento sanzionatorio, non più circoscritta soltanto alla sua commisurazione quantitativa, ma estesa all’individuazione della sanzione più idonea e alla strutturazione della stessa alla luce della funzione e degli scopi posti esplicitamente dall’art. 27 della Costituzione.

Risulta così confermato che il potere discrezionale del giudice nel decidere l’an e il quomodo della sanzione è espressamente vincolato al perseguimento della finalità rieducativa della pena e alla prevenzione del rischio di recidiva. Tale compito, di rilievo importantissimo, per effetto delle novità legislative in esame, verrà svolto con il supporto degli «Uffici dell’esecuzione penale esterna» (Uepe), destinatari di precise indicazioni operative enucleate dal Ministero della giustizia, e con quello ulteriore e – imprescindibile – degli avvocati.  

Il ruolo degli avvocati:

Va rilevato in primo luogo che, come è previsto dall’art. 545-bis cpp, è l’imputato che è chiamato a decidere se «acconsentire alla sostituzione della pena detentiva con una pena diversa dalla pena pecuniaria». Il nuovo sistema prevede il consenso dell’imputato non soltanto per il lavoro di pubblica utilità, come già previsto dalla legge delega, ma anche per le ulteriori pene sostitutive. 

È evidente, poi, che occorre che l’avvocato sappia accompagnare il proprio assistito in un percorso di seria informazione tecnica, in vista di una scelta che – si auspica – sia approfondita e responsabile, in modo da evitare il rischio di adesioni apparenti o scarsamente consapevoli. Va chiarito, ad esempio, all’assistito che al consenso al lavoro di pubblica utilità consegue l’inappellabilità della sentenza. È importante poi che l’avvocato informi il proprio assistito sui tempi di attesa della decisione del tribunale di sorveglianza in caso di scelta della “strada tradizionale”. 

Sarà compito fondamentale dell’avvocato fornire al giudice di cognizione gli elementi necessari perché quest’ultimo eserciti nel modo più appropriato il potere discrezionale attribuitogli dall’art. 58 l. n. 689/81. Tale disposizione stabilisce che «tra le pene sostitutive il giudice sceglie quella più idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato con il minore sacrificio della libertà personale» e che, nella scelta, il giudice deve tener conto «delle condizioni legate all’età, alla salute fisica o psichica, alla maternità, o alla paternità (…) [e] delle condizioni di disturbo da uso di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche, ovvero da gioco d’azzardo». 

È evidente che è l’avvocato che conoscerà per primo, in prima persona e in modo autentico le necessità dei propri assistiti. Egli è quindi chiamato al compito fondamentale di illustrare e documentare tutte le circostanze di fatto portandole alla conoscenza del giudice, che ne terrà conto nella scelta motivata della specifica pena sostitutiva. 

Subito dopo la scelta del giudice, sarà fondamentale far emergere tutti gli elementi indispensabili per la “costruzione” della pena-programma, la più adatta possibile alle esigenze di vita e familiari dell’imputato. 

L’art. 545-bis, comma 2, cpp elenca il bagaglio di informazioni di cui il giudice tiene conto per «decidere sulla sostituzione della pena detentiva e sulla scelta della pena sostitutiva». Si dispone in proposito che «il giudice può acquisire dall’ufficio di esecuzione penale esterna e, se del caso, dalla polizia giudiziaria, tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale, economica e patrimoniale dell’imputato (…) [I]l giudice può acquisire altresì dai soggetti indicati dall’art. 94 dpr 309/90 la certificazione di disturbo di uso da sostanze o di alcol ovvero di gioco d’azzardo e il programma terapeutico che il condannato abbia in corso o al quale intenda sottoporsi. Le parti possono depositare all’ufficio esecuzione esterna e fino a cinque giorni prima dell’udienza memorie in cancelleria».

Si tratta, con evidenza, di informazioni che il giudice potrà ricevere anche dalle parti. Proprio a questo proposito, conviene porre in rilievo quanto affermato con chiarezza dalla Relazione: «nella stessa fase, è previsto anche l’intervento della difesa e del pubblico ministero, che si possono rendere parte diligente, depositando documentazione all’ufficio di esecuzione penale esterna e fino a cinque giorni prima dell’udienza presentando memorie in cancelleria. La norma è espressione della valorizzazione dell’apporto delle parti, ed in modo particolare della difesa, che vengono chiamate a contribuire alla più adeguata e pertinente risposta sanzionatoria al reato».

La detenzione domiciliare, se ben costruita secondo i bisogni degli imputati, potrà garantire un regime di apertura molto simile all’affidamento in prova ai servizi sociali e, per giunta, sarà messa in esecuzione in maniera rapida e immediata. 

Il processo esecutivo è regolato dall’art. 661 cpp, che va coordinato con il novellato art. 62 l. n. 689/81, disposizione che ha il pregio di assicurare il passaggio della pena sostituita dal giudice di cognizione al magistrato di sorveglianza senza il meccanismo sospensivo previsto dall’art. 656 cpp. 

Il provvedimento di esecuzione è notificato anche al difensore, e ciò nell’ottica della massima valorizzazione del contributo della difesa, che può interloquire con il magistrato di sorveglianza fornendo tutti gli aggiornamenti della situazione di fatto o giuridica del proprio assistito. 

È all’avvocato che fa capo la responsabilità di decidere se rimandare sine die una risposta sanzionatoria nei casi in cui potrebbe essere utile che la pena si ponga in sintonia con un progetto che, nell’immediatezza, miri alla “ristrutturazione” esistenziale di una persona fragile attraverso il coinvolgimento di servizi sanitari e sociali e contesti familiari. Allo stesso modo, si rivela di fondamentale importanza l’indicazione del difensore sulla decisione del suo assistito di aderire o meno alla determinazione di pene sostitutive; a esempio, in caso di imputati in più procedimenti, quando sia prevedibile che le pene detentive irrogate all’esito dei medesimi, cumulandosi, rischino di determinare provvedimenti di esecuzione di pene superiori ai limiti della sospensione dell’esecuzione della pena. 

Di grande interesse può rivelarsi, poi, l’utilizzo della detenzione domiciliare sostitutiva nei confronti dei seminfermi di mente, trattandosi di un istituto che può garantire il necessario percorso di cura, inizialmente all’interno della pena sostitutiva e, a seguire, durante l’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata. E tutto ciò senza soluzione di continuità, evitando le difficoltà e i rischi connessi alla gestione della pena detentiva e delle misure di sicurezza.

A ciò si aggiunga la possibilità di optare per una sanzione sostitutiva per tutti quei reati – pur non ostativi alla concessione dei benefici, in quanto non inseriti nell’elenco di cui all’art. 4-bis o.p. – per i quali è previsto il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione ai sensi dell’art. 656, comma 9, cpp. In questi casi, la scelta della sanzione sostitutiva si traduce, di fatto, in una vera e propria opportunità: quella di evitare l’ingresso in carcere, optando per un’espiazione della pena con modalità differenti dalla restrizione intramuraria. 

È inoltre fondamentale la comprensione della portata dell’art. 68 l. n. 689/81, che disciplina l’intercalare esecutivo delle pene o delle misure cautelari o delle misure di sicurezza detentive e delle pene sostitutive brevi. Il criterio è quello della prevalenza dell’esecuzione carceraria a fronte della quale si ferma o non inizia l’esecuzione delle pene sostitutive, che restano però sospese senza essere revocate. Di non poco conto è, poi, l’apprezzamento della grande flessibilità del meccanismo di revoca/conversione delle pene sostitutive in caso di violazione delle prescrizioni, meccanismo che esclude ogni automatismo e limita gli interventi del magistrato al caso di «violazioni gravi e reiterate degli obblighi di prescrizione ad essa inerenti».  

Il ruolo dell’Uepe:

Il percorso decisorio del giudice dev’essere supportato non solo da una difesa efficiente, ma anche dall’«Ufficio esecuzione penale esterna». Il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità ha già elaborato le «prime indicazioni operative» per orientare il lavoro degli uffici Uepe, sia rispetto alla messa alla prova che alla sostituzione delle pene detentive brevi. Nel documento è precisato che gli operatori dovranno accompagnare e sostenere l’attività decisoria delle attività giudiziaria fornendo «indicazioni concrete, realistiche ed accurate rispetto al tema della possibilità di percorrere concretamente ipotesi di traiettorie di vita caratterizzate da una dimensione rieducativa efficace in uno scenario non detentivo». 

Quanto all’impegno richiesto all’Uepe, taluni hanno sostenuto che la riforma avrebbe posto in capo all’Ufficio un carico di lavoro eccessivo e non sostenibile a parità di costi e risorse messe in campo. Tale valutazione rappresenta un “falso problema”. Ciò che, infatti, sarà richiesto all’Uepe in sede di applicazione di sanzioni sostitutive è la redazione di un progetto di massima, in base al quale deve declinarsi l’espiazione della pena in regime sostitutivo. Tale compito richiederà un impegno ben diverso, ma certamente minore, rispetto a quello messo in campo in caso di richiesta d’indagine sociale per la concessione di una misura alternativa. Se è vero, dunque, che l’intervento dell’Uepe sarà anticipato rispetto a quello previsto nell’attuale sistema, resta evidente, però, che necessiterà di un minor dispendio di risorse e di tempo da parte dell’Ufficio. 

Nuove responsabilità per gli operatori giudiziari:

Il nuovo impianto del sistema sanzionatorio rappresenta una svolta modernizzatrice nel nostro sistema penale. È una riforma con “visione e respiro”, e segna un netto passo verso il superamento del primato del carcere. Si tratta di una ristrutturazione che è stata accolta con favore dalla dottrina e dagli studiosi del diritto penale.

Agli operatori del diritto resta il compito di darvi seguito, trovando soluzioni e modalità applicative, non perdendosi d’animo di fronte a ulteriori e differenti carichi di lavoro. 

Si tratta di un impegno che consentirà di poter raggiungere fini importanti e traguardi irrinunciabili, sia per gli utenti della giustizia che per la collettività. Una riforma di fronte alla quale non possiamo semplicemente voltarci dall’altra parte. 

 Vds. la legge n. 1185 del 1967 che, in materia di divieti al rilascio di passaporto, all’art. 3, lett. d, prevede che non possano ottenere il passaporto «coloro che debbano espiare una pena restrittiva della libertà personale o soddisfare una multa o ammenda, salvo per questi ultimi il nulla osta dell’autorità che deve curare l’esecuzione della sentenza, sempre che la multa o l’ammenda non siano già state convertite in pena restrittiva della libertà personale, o la loro conversione non importi una pena superiore a mesi 1 di reclusione o 2 di arresto».

 I dati sono citati a p. 188 della Relazione illustrativa del d.lgs 10 ottobre 2022, n. 150, recante attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134 – «Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari».

 Art. 20-bis cp: «Pene sostitutive delle pene detentive brevi.

1. Salvo quanto previsto da particolari disposizioni di legge, le pene sostitutive della reclusione e dell’arresto sono disciplinate dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n.  689, e sono le seguenti:
1) la semilibertà sostitutiva;
2) la detenzione domiciliare sostitutiva;
3) il lavoro di pubblica utilità sostitutivo;
4) la pena pecuniaria sostitutiva.
2. La semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva possono essere applicate dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a quattro anni. 
3. Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo può essere applicato dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a tre anni. 
4. La pena pecuniaria sostitutiva può essere applicata dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a un anno».

 Art. 56: «Detenzione domiciliare sostitutiva.

La detenzione domiciliare sostitutiva comporta l’obbligo di rimanere nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico o privato di cura, assistenza o accoglienza ovvero in comunità o in case famiglia protette, per non meno di dodici ore al giorno, avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato. In ogni caso, il condannato può lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita e di salute, secondo quanto stabilito dal giudice.
Il giudice dispone la detenzione domiciliare sostitutiva tenendo conto anche del programma di trattamento elaborato dall’ufficio di esecuzione penale esterna, che prende in carico il condannato e che riferisce periodicamente sulla sua condotta e sul percorso di reinserimento sociale.
Il luogo di esecuzione della pena deve assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato e non può essere un immobile occupato abusivamente. Se il condannato non ha la disponibilità di un domicilio idoneo, l’ufficio di esecuzione penale esterna predispone il programma di trattamento, individuando soluzioni abitative anche comunitarie adeguate alla detenzione domiciliare.
Il giudice, se lo ritiene necessario per prevenire il pericolo di commissione di altri reati o per tutelare la persona offesa, può prescrivere procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, conformi alle caratteristiche funzionali e operative degli apparati di cui le Forze di polizia abbiano l’effettiva disponibilità. La temporanea indisponibilità di tali mezzi non può ritardare l’inizio della esecuzione della detenzione domiciliare. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 275-bis, commi 2 e 3, del codice di procedura penale.
Si applica, in quanto compatibile, l’articolo 100 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230. Al condannato alla pena sostitutiva della detenzione domiciliare non si applica l’articolo 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285».

Art. 56-bis: «Lavoro di pubblica utilità sostitutivo.

Il lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, le Città metropolitane, i Comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato.
L’attività viene svolta di regola nell’ambito della regione in cui risiede il condannato e comporta la prestazione di non meno di sei ore e non più di quindici ore di lavoro settimanale da svolgere con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato. Tuttavia, se il condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica utilità per un tempo superiore. La durata giornaliera della prestazione non può comunque oltrepassare le otto ore.
Ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di due ore di lavoro.
Fermo quanto previsto dal presente articolo, le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità sono determinate con decreto del Ministro della giustizia, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
In caso di decreto penale di condanna o di sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, se accompagnato dal risarcimento del danno o dalla eliminazione delle conseguenze dannose del reato, ove possibili, comporta la revoca della confisca eventualmente disposta, salvi i casi di confisca obbligatoria, anche per equivalente, del prezzo, del profitto o del prodotto del reato ovvero delle cose la cui fabbricazione, uso e porto, detenzione o alienazione costituiscano reato.
Al condannato alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità non si applica l’articolo 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285».

Art. 55: «Semilibertà sostitutiva.

La semilibertà sostitutiva comporta l’obbligo di trascorrere almeno otto ore al giorno in un istituto di pena e di svolgere, per la restante parte del giorno, attività di lavoro, di studio, di formazione professionale o comunque utili alla rieducazione ed al reinserimento sociale, secondo il programma di trattamento predisposto e approvato ai sensi dei commi seguenti.
I condannati alla semilibertà sostitutiva sono assegnati in appositi istituti o nelle apposite sezioni autonome di istituti ordinari, di cui al secondo comma dell’articolo 48 della legge 26 luglio 1975, n. 354, situati nel comune di residenza, di domicilio, di lavoro o di studio del condannato o in un comune vicino. Durante il periodo di permanenza negli istituti o nelle sezioni indicate nel primo periodo, il condannato è sottoposto alle norme della legge 26 luglio 1975, n. 354, e del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, in quanto compatibili. Nei casi di cui all’articolo 66, il direttore riferisce al magistrato di sorveglianza e all’ufficio di esecuzione penale esterna.
Il semilibero è sottoposto a un programma di trattamento predisposto dall’ufficio di esecuzione penale esterna ed approvato dal giudice, nel quale sono indicate le ore da trascorrere in istituto e le attività da svolgere all’esterno.
L’ufficio di esecuzione penale esterna è incaricato della vigilanza e dell’assistenza del condannato in libertà, secondo le modalità previste dall’articolo 118 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.
Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dall’articolo 101, commi 1, 2 e da 5 a 9, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230. Al condannato alla pena sostitutiva della semilibertà non si applica l’articolo 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285».

Circolare Ministero della Giustizia, Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, 26 ottobre 2022, n. 3.

L’art. 59 l. n. 689/81, tra le condizioni soggettive per la sostituzione delle pene detentive, prevede che la pena detentiva non possa essere sostituita: «c) nei confronti dell’imputato a cui deve essere applicata una misura di sicurezza personale, salvo i casi di parziale incapacità di intendere e volere». Nella Relazione è ben spiegata la motivazione: «si è ritenuto di limitare la preclusione ai soggetti pienamente imputabili e di escluderla in caso di parziale incapacità di intendere e volere. Ciò in quanto le pene sostitutive, attraverso programmi di trattamento predisposti in chiave terapeutica, possono normalmente risultare più funzionali del carcere rispetto alle esigenze di cura e di tutela della salute del condannato, anche nella prospettiva di un ragionevole bilanciamento con le esigenze di neutralizzazione della sua pericolosità sociale».  L’art. 656, comma 9, cpp, afferma:
«La sospensione dell’esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta:
a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nonché di cui agli articoli 423-bis, 572 secondo comma, 612-bis terzo comma, 624-bis del codice penale, fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell’articolo 89 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni; b) nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva».