Glossario D – I

Detenzione domiciliare
E’ una delle misure alternative alla detenzione (vedi) che consentono al condannato di scontare fuori dal carcere la pena detentiva, o parte di essa.
E’ stata introdotta nel 1975 con la legge sull’ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975 n. 354) ed è stata ampliata nella applicabilità dalla legge 26 novembre 2010, n. 199, e dal decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211 (vedi, di seguito, Detenzione domiciliare “ultimi 18 mesi”).
La detenzione domiciliare è regolata dall’art. 47 ter della legge 354/1975, e consiste nella concessione al condannato di espiare la pena nella propria abitazione o in un luogo di cura, assistenza e accoglienza, se:
• donna incinta (vedi anche rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena);
• madre di figli di età inferiore ad anni uno (vedi anche rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena);
• persona affetta da Aids o da altra malattia particolarmente grave, non compatibile con lo stato di detenzione in carcere (vedi anche rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena);
• persona di oltre settanta anni di età (purché non dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, o recidivo reiterato, o sex-offender);
• deve scontare una pena o un residuo di pena inferiore a due anni (a meno che si tratti di condanna per reati particolarmente gravi, secondo l’art. 4 bis [vedi] della legge sull’ordinamento penitenziario o sia stata applicata la recidiva);
• deve scontare una pena o un residuo di pena inferiore a quattro anni ed è:
– donna incinta o madre con figli conviventi di età inferiore a dieci anni;
– padre con figli di età inferiore a dieci anni senza la madre;
– persona in condizioni di salute particolarmente gravi;
– persona di età superiore a sessant’anni parzialmente inabile;
– persona minore di ventuno anni con esigenze di salute, studio, lavoro o famiglia;
• madre con figli di età inferiore a dieci anni, dopo aver espiato almeno un terzo della pena (o quindici anni in caso di ergastolo) e se non sussiste pericolo di commissione di altri delitti (art. 47 quinquies, “Detenzione domiciliare speciale”).
I condannati recidivi reiterati (art. 99, 4° comma c.p.: già recidivi, che commettono un altro delitto) possono ottenere la detenzione domiciliare solo se la pena da scontare non è superiore a tre anni.
La detenzione domiciliare può essere concessa, su istanza dell’interessato, dal Tribunale di sorveglianza oppure, in via provvisoria fino alla decisione del Tribunale, dal magistrato di sorveglianza. E’ regolata da prescrizioni imposte dal Tribunale di sorveglianza (o dal magistrato, in via provvisoria), è soggetta ai controlli delle forze dell’ordine e può essere revocata (nel qual caso il condannato torna a espiare la pena in carcere e non può più richiedere altra misura alternativa per tre anni).
Eventuali richieste del condannato vanno indirizzate al magistrato di sorveglianza, che potrà rilasciare l’autorizzazione ad assentarsi dal luogo di detenzione in caso “non possa provvedere altrimenti alle sue indispensabili esigenze di vita” e solo “per il tempo strettamente necessario per provvedere alle suddette esigenze ovvero per esercitare una attività lavorativa” (art. 284 c.p.p.).
La detenzione domiciliare non va confusa con gli arresti domiciliari (vedi).

Detenzione domiciliare “ultimi 18 mesi”
La legge 26 novembre 2010, n. 199, “Disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a un anno”, ha ampliato i criteri di concessione della misura alternativa della detenzione domiciliare.
Un anno dopo, il decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, “Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri”, ha elevato a 18 mesi il limite di pena entro cui la detenzione domiciliare può essere richiesta.
I provvedimenti consentono ai condannati con pena detentiva (anche residua) non superiore a diciotto mesi, di scontarla presso la propria abitazione o un altro luogo, pubblico o privato, che lo accolga. 
Non si applica:
• ai condannati per i reati particolarmente gravi (quelli previsti dall’art. 4 bisdella legge sull’ordinamento penitenziario, vedi);
• ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza (artt. 102, 105 e 108 del codice penale);
• ai detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare (art. 14 bis della legge sull’ordinamento penitenziario);
• qualora vi sia la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga o commettere altri delitti;
• qualora il condannato non abbia un domicilio idoneo alla sorveglianza e alla tutela delle persone offese dal reato commesso.
Nel caso la condanna a diciotto mesi – o meno – di reclusione sia comminata a una persona in libertà, è lo stesso pubblico ministero che, al momento della condanna, ne sospende l’esecuzione, accerta l’esistenza e l’idoneità dell’alloggio o, se si tratta di persona tossicodipendente o alcool dipendente, verifica la documentazione medica e il programma di recupero, trasmettendo quindi gli atti al magistrato di sorveglianza per la concessione della detenzione domiciliare e l’imposizione delle opportune prescrizioni.
Nel caso invece che il condannato, con pena da scontare fino a diciotto mesi, sia in carcere, potrà presentare una richiesta al magistrato di sorveglianza. In ogni caso – anche senza la richiesta dell’interessato – la direzione dell’istituto di pena preparerà per ciascun detenuto che rientra nelle condizioni previste dalla legge una relazione sul comportamento tenuto durante la detenzione e sulla idoneità dell’alloggio, oppure raccoglierà la documentazione medica e terapeutica, qualora si tratti di persona  dipendente da droga o alcool intenzionata a seguire un programma di cura. Il magistrato di sorveglianza provvederà con un’ordinanza, imponendo le opportune prescrizioni.
La legge 199-2010, in caso di evasione dalla detenzione domiciliare (art. 385 codice penale), inasprisce le pene portandole da un minimo di un anno di reclusione a un massimo di tre (fino a cinque se vi sono violenza o effrazione, fino a sei se con armi).

Espulsione dello straniero irregolarmente in Italia come sanzione alternativa alla detenzione
Il Testo unico sull’immigrazione (Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, come modificato dall’art. 15 della legge 30 luglio 2002, n.189, “Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo”) prevede all’art. 16 l’espulsione dello straniero, cioè del cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea, come sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione.
Il giudice, se la sentenza di condanna nei confronti di un cittadino straniero irregolarmente presente in Italia ha stabilito una pena non superiore ai due anni di detenzione (e a meno che si tratti di delitti particolarmente gravi, dettagliatamente elencati nell’art. 407, comma 2 lettera “a” del c.p.p.), può sostituire la detenzione con l’espulsione dal territorio italiano. In questo caso il cittadino straniero non potrà rientrare in Italia per almeno cinque anni.
Se il cittadino straniero irregolarmente presente in Italia è detenuto e se deve scontare – o gli resta da scontare – una pena detentiva inferiore ai due anni (a meno che si tratti di delitti particolarmente gravi), deve essere espulso. In questo caso l’espulsione è disposta dal magistrato di sorveglianza, che decide con decreto motivato, al quale lo straniero può opporsi, appellandosi al Tribunale di sorveglianza.
L’espulsione non si può disporre nel caso lo straniero possa essere perseguitato, nel suo Paese, per motivi razziali, religiosi, politici, o per condizioni sociali o personali, o se vi è il rischio che sia rinviato in un altro Paese dove sarebbe perseguitato. Non si può disporre neppure verso i cittadini stranieri minori di diciotto anni, o in possesso di carta di soggiorno italiana, o conviventi con parenti o coniuge italiani, o donne in stato di gravidanza o con figli nati da meno di sei mesi.
Per lo straniero irregolarmente presente in Italia, anche se non ha commesso altri reati, l’art. 13 del D.L.vo 286/1998 prevede che il prefetto disponga l’espulsione amministrativa (ad esclusione dei casi elencati nel capoverso precedente).

Espulsione dello straniero regolarmente in Italia, a pena espiata, come misura di sicurezza
Qualora ne sia accertata la pericolosità sociale, lo straniero (cioè il cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea) regolarmente presente sul territorio italiano, condannato per reati relativi alla produzione, al traffico e alla detenzione illegale di sostanze stupefacenti, all’agevolazione dell’uso di dette sostanze o all’istigazione all’uso da parte di un minore, terminata la pena deve essere espulso dallo Stato.
Lo prevede l’art. 86 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti”.
Il provvedimento di espulsione può essere adottato anche nei confronti dello straniero regolarmente in Italia, condannato per uno degli altri reati previsti dalla stessa legge.
L’espulsione dello straniero dal territorio nazionale è ordinata dal giudice anche quando lo straniero è condannato a una pena detentiva superore ai dieci anni (art. 235 c.p.).
Tuttavia, tale misura di sicurezza (come tutte le altre) non potrà eseguirsi se non previo riesame della pericolosità sociale da parte del magistrato di sorveglianza in occasione dell’approssimarsi del fine pena.

Gratuito patrocinio
Si tratta di un beneficio previsto dall’articolo 24 della Costituzione che consiste nel riconoscimento dell’assistenza legale gratuita, per promuovere un giudizio o per difendersi davanti al giudice e anche per i procedimenti di sorveglianza, alle persone meno abbienti, non in grado di sostenerne le spese.
Al pagamento delle spese (avvocati, consulenti e investigatori autorizzati) provvede lo Stato.
Il patrocinio a spese dello Stato è regolato dalla Parte terza (artt. 74 – 141) del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Gli artt. 76, 77 e 92 stabiliscono il limite di reddito Irpef (risultante dall’ultima dichiarazione) sotto il quale può essere richiesto il patrocinio gratuito. Tale limite si riferisce alla somma dei redditi di tutti i componenti della famiglia del richiedente (a meno che la causa veda il richiedente contro un familiare), è aggiornato ogni due anni e ammonta a 11493,82 euro, più 1.032,91 euro per ogni familiare convivente.

Grazia
La grazia condona, in tutto o in parte, la pena inflitta o la commuta in un’altra pena stabilita dalla legge (art. 174 c.p. e 681 c.p.p.).
E’ un provvedimento di indulgenza a carattere individuale, mentre l’indulto è a carattere generale.
La domanda di grazia, diretta al Presidente della Repubblica tramite il ministro di Grazia e giustizia, è sottoscritta dal condannato o da un suo congiunto o avvocato. Se il condannato è detenuto o internato, va presentata al magistrato di sorveglianza che la trasmette al ministro della giustizia con il proprio parere motivato.
Vedi anche amnistia indulto.

Indulto
L’indulto condona, in tutto o in parte, la pena inflitta o la commuta in un’altra pena stabilita dalla legge (art. 174 c.p. e 672 c.p.p.). Viene applicato direttamente dal giudice che ha emesso la sentenza di condanna. Nel caso la sentenza preveda l’applicazione di misure di sicurezza, le eventuali modifiche conseguenti all’indulto sono di competenza del magistrato di sorveglianza.
E’ un provvedimento di indulgenza a carattere generale, mentre la grazia è a carattere individuale.
Vedi anche amnistia grazia.

Internato
E’ la persona sottoposta a misure di sicurezza detentive (vedi).

Istituti per l’esecuzione delle misure di sicurezza
Gli istituti per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive sono le colonie agricole, le case di lavoro, le case di cura e custodia e gli ospedali psichiatrici giudiziari (art. 62 legge 26 luglio 1975, n. 354, ordinamento penitenziario).Istituto penitenziario
Comunemente chiamato carcere, è il luogo chiuso e isolato dalla società, destinato ad accogliere coloro che sono in attesa di giudizio (casa circondariale) o già definitivamente condannati (casa di reclusione o, nel caso di pene inferiori ad anni cinque, case circondariali). Gli istituti penitenziari fanno capo al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, istituito presso il ministero della Giustizia.